Settimo Cielo di Sandro Magister
31 ott
In Vaticano ci mancava Vandana Shiva. Eccola qua
Vandana
Questa volta non ci saranno né Evo Morales – non in quanto presidente della Bolivia ma come « cocalero », coltivatore di coca –, né l’ex candidato dell’ultrasinistra alle presidenziali americane Bernie Sanders, che per altri loro impegni non hanno potuto accogliere l’invito.
Ma in compenso, alla prossima terza convocazione da parte di papa Francesco dei « movimenti popolari » altermondialisti a lui tanto cari, in programma a Roma dal 2 al 5 novembre, accorrerà la più osannata guru dell’ecologismo, l’indiana Vandana Shiva.
Osannata e discussa. Fece rumore, due anni fa, la critica con cui non un giornale oscurantista di destra, ma la raffinata rivista culto del pensiero « liberal » che è « The New Yorker » ridusse in macerie le tesi della famosa ecologista. Non ne lasciò in piedi praticamente nessuna, a cominciare dall’idea che in India la modernizzazione dell’agricoltura abbia provocato un’enormità di suicidi tra i contadini ridotti alla disperazione.
Questo è il link al lungo e dettagliatissimo articolo del « New Yorker » – scritto da Michael Specter, da anni specialista della materia e già corrispondente da Roma e da Mosca per il « New York Times », – al quale seguirono una replica di Shiva, secondo cui tutti quelli che non la pensano come lei sono al soldo delle multinazionali, e una controreplica ancor più critica del direttore della rivista, David Remnick:
> Seeds of Doubt
E questa è la diligente sintesi della disputa, che pubblicò l’insospettabile Luca Sofri su « Il Post »:
> Il « New Yorker » contro Vandana Shiva
Ma non c’è stato niente da fare. Shiva continua indefessa a sostenere le sue tesi apocalittiche, incurante del fatto che gli OGM consentano di sfamare miliardi di abitanti del pianeta e che grazie alla rivoluzione verde l’India è divenuta, da importatrice di 11 milioni tonnellate di grano nel 1966, produttrice ed esportatrice oggi di 200 milioni di tonnellate.
E tira avanti dritto, naturalmente, tra gli applausi degli ambientalisti alla moda e col conforto di quel libretto verde che per molti di loro è l’enciclica « Laudato si' ».
Una delle ultime performance di Shiva è stato, a metà ottobre, il processo per crimini di lesa umanità imbastito contro la multinazionale biotech Monsanto « presso il Tribunale dell’Aia ». Che non era però la nota corte penale internazionale, ma un teatrino messo su nella capitale olandese da una variegata corte di attivisti anti OGM, con la guru indiana in grande spolvero. Lo pseudo processo si è concluso con la condanna in contumacia della Monsanto per « ecocidio », un reato anch’esso inventato per l’occasione. Tra i giurati c’era l’italiano Carlo Petrini, fondatore di Slow Food e firma di riguardo de « L’Osservatore Romano ». Mentre tra i pubblici accusatori non poteva mancare il francese Gilles-Eric Séralini, unico ricercatore al mondo che abbia finora prodotto uno studio finalizzato a dimostrare la tossicità degli OGM, studio poi fatto ritirare in quanto riscontrato al di sotto degli standard scientifici.
Sta di fatto che delle tre « T » al centro degli incontri dei « movimenti popolari », cioè « tierra, techo, trabajo », questa volta l’accento sarà più sulla prima: sulla terra e sulla sua salute.
Nel presentare nella sala stampa vaticana l’incontro, l’attivista argentino Juan Grabois – amico di Jorge Mario Bergoglio che l’ha nominato consultore di Iustitia et Pax – è stato parco di anticipazioni sulle personalità e i gruppi che vi parteciperanno da tutto il mondo.
Ma la presenza di Vandana Shiva l’ha data per certa. E poi toccherà al papa fare notizia, con un altro dei chilometrici discorsi-manifesto con cui ha già contrassegnato le due precedenti convocazioni dei « movimenti popolari », la prima a Roma nel 2014 e la seconda a Santa Cruz de la Sierra, in Bolivia, nel 2015.
Ogni volta distillando quella sua particolare declinazione della dottrina sociale cristiana – in chiave di « mistica » populista – che tanto somiglia alle teorie anticapitaliste e altermondialiste di un Toni Negri o di un Gianni Vattimo.
Quest’ultimo filosofo, un anno, fa, sul palco del gremitissimo Teatro Cervantes di Buenos Aires, ha perorato la causa di una nuova « Internazionale » comunista e insieme « papista », con Francesco come suo indiscusso leader, l’unico – ha detto – capace di guidare una rivoluzione politica, culturale e religiosa contro lo strapotere del denaro, in quella « guerra civile » in atto nel mondo che si traveste qua e là di lotta al terrorismo ma è in realtà la lotta di classe del XXI secolo contro la moltitudine di tutti gli oppositori al dominio del capitale.
Vedere per credere. L’arringa di Vattimo, in spagnolo, è tra il minuto 15 e il minuto 51 di questo video dell’evento, così in sintonia con i bergogliani « movimenti popolari »
> Foro Internacional Por la Emancipación y la Igualdad – Actualidad de las Tradiciones Emancipatorias
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NOTA BENE !
Il blog “Settimo cielo” fa da corredo al sito “www.chiesa”, curato anch’esso da Sandro Magister, che offre a un pubblico internazionale notizie, analisi e documenti sulla Chiesa cattolica, in italiano, inglese, francese e spagnolo.
Gli ultimi tre servizi di « www.chiesa »:
30.10.2016
> Gesuiti addio. I media vaticani cambiano faccia e padrone
E questo proprio con un papa gesuita. La Radio Vaticana cesserà di trasmettere in onde corte. E anche « L’Osservatore Romano » sarà assorbito in un unico « content hub ». Sotto il comando di monsignor Dario Viganò
27.10.2016
> Lutero al rogo. No, sugli altari. La doppia visione del papa gesuita
Ieri vedeva nella Riforma protestante la radice di tutti i mali. Oggi la festeggia come « medicina per la Chiesa ». Ma non risulta che abbia rinnegato le sue critiche. Eccole parola per parola
24.10.2016
> Celibato dei preti. La parola alla difesa
Non se ne discuterà in un sinodo, ma crescono le pressioni a favore dell’ordinazione di uomini sposati. Il più stimato dei teologi italiani ha messo a fuoco la questione su un’autorevole rivista. E opta per tener fermo il celibato: non solo « opportuno » ma « necessario »
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31 ottobre 2016
General
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26 ott
Terremoto alla Pontificia accademia per la vita. Con repulisti dei non allineati
paglia
Come anticipato il 13 ottobre da Settimo Cielo, domani non sarà il cardinale Robert Sarah a inaugurare il nuovo anno accademico del Pontificio istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia.
La prolusione la terrà papa Francesco. E non si recherà lui nella Pontificia università Lateranense, ma riceverà i membri dell’istituto in Vaticano, nella Sala Clementina, alle ore 11.
Il clamoroso cambio di persona è stato letto da tutti come il via ufficiale di un nuovo corso per l’istituto, in linea con le « aperture » di Jorge Mario Bergoglio e sotto l’impulso del suo nuovo gran cancelliere, che da metà agosto è monsignor Vincenzo Paglia.
Intanto però, nella contigua Pontificia accademia per la vita, consegnata anch’essa dal papa alle cure di monsignor Paglia, il repulisti dei membri non allineati è già alle viste.
A norma dell’art. 5 § 2 dello statuto, i membri ordinari, tutti di nomina pontificia e quasi tutti nominati da Giovanni Paolo II, sono in carica ininterrottamente fino a 80 anni, e quindi sono inamovibili. Ma monsignor Paglia avrebbe già ottenuto dal papa il via libera a cambiare lo statuto, riducendo a 5 anni o poco più il loro mandato, come già ora avviene per i membri chiamati « corrispondenti ». E si appresterebbe a far valere come retroattiva la nuova norma.
Tra gli accademici di chiara fama che rischiano la cacciata vi sono ad esempio l’austriaco Josef Maria Seifert e l’inglese Luke Gormally, colpevoli entrambi di aver pubblicato critiche radicali dell’esortazione postsinodale « Amoris laetitia ».
Tra i cardinali membri sono in bilico Carlo Caffarra, che fu anche il primo preside del Pontificio istituto Giovanni Paolo II, e Willem Jacobus Eijk, che è arcivescovo di Utrecht e presidente della conferenza episcopale olandese ma è anche medico e teologo moralista di valore, colpevoli anch’essi di aver criticato « Amoris laetitia » e forse più ancora di aver firmato la famosa lettera dei tredici cardinali che fece infuriare papa Francesco all’inizio dell’ultimo sinodo.
Pericolanti sono anche i membri più impegnati con i movimenti per la vita, a cominciare dalla battagliera guatemalteca-statunitense Maria Mercedes Arzu de Wilson, di cui si ricorda l’aspra polemica con monsignor Rino Fisichella, all’epoca presidente della Pontificia accademia per la vita, per un articolo da questi scritto su « L’Osservatore Romano » molto comprensivo riguardo all’aborto di una madre-bambina brasiliana.
Un diverso destino, di riconferma, si prevede invece per altri membri dell’accademia sì scientificamente qualificati, ma dalle posizioni – in materia di bioetica – non proprio conformi al magistero della Chiesa, almeno a quello pregresso.
Uno di questi è ad esempio il senese Felice Petraglia, ginecologo ed editor-in-chief della rivista internazionale « Human Reproduction Update », fondata da Robert Edwards, uno dei padri della fecondazione in provetta, e organo ufficiale della European Society of Human Reproduction and Embryology, che sostiene la fecondazione « in vitro », la diagnosi e selezione genetica degli embrioni, le pillole abortive e altro simile.
E un altro è il ginecologo francese Charles Chapron, amico di Petraglia, membro di diverse società internazionali di ostetricia e ginecologia anch’esse favorevoli a quanto sopra, e nonostante ciò ammesso come membro corrispondente dell’accademia.
Un escamotage al quale Paglia sta lavorando, per associare membri di tal genere alla Pontificia accademia per la vita e per includerne altri negli anni a venire, sarebbe quello di togliere dallo statuto quanto previsto all’art. 5 § 4 lettera b:
« I nuovi Accademici sono invitati a sottoscrivere l’Attestazione dei Servitori della Vita, con la quale si impegnano a promuovere e difendere i principi circa il valore della vita e della dignità della persona umana, interpretati in modo conforme al Magistero della Chiesa”.
Con ciò, sarebbe spianata la strada per chiamare a far parte della Pontificia accademia per la vita anche Angelo Vescovi, molto legato a Paglia da quando questi era vescovo di Terni e lo aiutò a insediare in città la sede centrale di una sua creatura, la Fondazione Cellule Staminali. Vescovi non è cattolico e partecipò alla campagna referendaria del 2005 per difendere la legge 40, fortemente voluta dal cardinale Camillo Ruini. Ma, a parte ciò, non ha mai brillato per la difesa pubblica della vita umana nei circoli scientifici di cui è membro, tra i quali è nota la sua posizione ambigua sulle questioni delle cellule staminali embrionali.
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26 ottobre 2016
General
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21 ott
Ultime sul negoziato Roma-Pechino. E il diario cinese di padre Gheddo
piero
Facendo seguito a una loro precedente grande inchiesta del 14 luglio, Lisa Jucca e Benjamin Kang Lim hanno pubblicato oggi sull’agenzia internazionale Reuters nuovi aggiornamenti molto dettagliati sull’andamento dei negoziati tra la Santa Sede e Pechino:
> Exclusive: Vatican and China in final push for elusive deal on bishops
Stando a queste anticipazioni, le delegazioni delle due parti tornerebbero presto a riunirsi a Roma. Il negoziato verte sulle procedure per le nomine dei vescovi. La soluzione prevede che sia la conferenza episcopale cinese a proporre i candidati all’episcopato, che il papa potrà accettare o no.
Ma il cammino per arrivarvi continua a essere molto accidentato e tutt’altro che breve. Su oltre un centinaio di diocesi, una trentina sono vacanti e un’altra trentina sono rette da vescovi con più di 75 anni. Inoltre, trenta vescovi non sono riconosciuti dalle autorità cinesi e non fanno parte della conferenza episcopale – che manca quindi dei requisiti minimi di validità, oltre al fatto di essere totalmente asservita al regime –, mentre altri otto non sono riconosciuti da Roma e scomunicati. Per non dire che nel frattempo un nuovo vescovo è stato consacrato a Zhengding senza l’approvazione né del governo cinese né di Roma, cadendo anche lui nella scomunica; un altro vescovo, fedele al papa, quello di Wenzhou, è stato impedito di succedere al predecessore scomparso; e un altro vescovo ancora, quello di Shanghai, colpevole di essersi dimesso dall’Associazione patriottica dei cattolici cinesi, continua ad essere da tre anni agli arresti domiciliari, nonostante abbia recentemente fatto atto di sottomissione alle autorità.
Gli ostacoli a una soluzione continuano dunque a essere forti. Intanto, però, sembra vicina la consacrazione di due nuovi vescovi designati da Roma già da qualche anno e ora in procinto di ottenere il riconoscimento di Pechino, a Changzhi nella provincia di Shanxi e a Chengdu nella provincia di Sichuan.
Inoltre, le autorità cinesi hanno consentito per la prima volta a rappresentanti della Santa Sede di incontrare gli otto vescovi scomunicati. E la riconciliazione sembrerebbe vicina per quattro di loro: Ma Yinglin, vescovo di Kunming (Yunnan), Guo Jincai, vescovo di Chengde (Hebei), Yue Fusheng vescovo di Harbin (Heilongjiang), e Tu Shihua, vescovo di Puqi (Hunan).
Il primo di questi, Ma Yingling, è anche presidente della pseudoconferenza episcopale e vicepresidente dell’Associazione patriottica, quest’ultima definita « inconciliabile » con la fede cattolica dalla lettera del 2007 di Benedetto XVI che fa da « magna charta » per la Chiesa cattolica in Cina. Sarà importante vedere cosa accadrà di questa sua seconda carica.
Per i restanti quattro scomunicati il perdono sembra invece più difficile. Essi sono Lei Shiyin, vescovo di Leshan (Sichuan), Huang Bingzhang, vescovo di Shantou (Guangdong), Zhan Silu, vescovo di Mindong (Fujian), e Liu Xinhong, vescovo di Wuhu (Anhui). Su due di loro pende l’accusa di avere figli e amanti, e altri due sono stati messi dal regime a capo di diocesi – quelle di Shantou e di Mindong – dove già risiedono vescovi approvati da Roma.
L’agenzia missionaria « Asia News », specializzata sulla Cina, ha comunque prudentemente gettato acqua sul fuoco di previsioni troppo ottimistiche riguardo agli sviluppi del negoziato tra Roma e Pechino.
*
Intanto sono uscite in Italia le memorie di padre Piero Gheddo, del Pontificio Istituto Missioni Estere di Milano, grande missionario d’antica scuola. Le ha edite la EMI col titolo: « Inviato speciale ai confini della fede ».
Alla Cina padre Gheddo dedica pagine di grande interesse. Eccone qui di seguito un assaggio, sugli anni bui della Rivoluzione culturale e sul dopo.
*
HO VISTO LA RISURREZIONE DELLA CHIESA IN CINA
di Piero Gheddo
Dopo l’ordinazione sacerdotale, nel 1953, mi impegnai subito nel giornalismo, intervistando – tra gli altri – i nostri missionari del Pontificio Istituto Missioni Estere che in quegli anni venivano espulsi dalla Cina: 140 in tutto, con cinque vescovi.
Nel 1973 vado in Cina come membro di una commissione della Montedison, sostituendo un ammalato. Era il tempo della « rivoluzione culturale » e quella Cina, dico la verità, mi aveva quasi affascinato: disciplina, ordine, pulizia, povertà dignitosa e orgoglio nazionale, uguaglianza nell’avere tutti il necessario. Non si vedevano per le città poveri né mendicanti né lebbrosi. Poi, leggendo il Libretto rosso di Mao, parevano sentenze degne di san Paolo: « A ciascuno tutto quello di cui ha bisogno, da ciascuno tutto quello che può dare »; « Servire il popolo è l’ideale del buon cinese »; « L’ideale del comunismo è cambiare il cuore dell’uomo ».
Ho avuto momenti di dubbio nel mio granitico convincimento che il comunismo senza Dio non può produrre frutti positivi per l’uomo. La Cina pareva dimostrare il contrario e la guida non mancava di ripetere: « La Cina ha imparato a fare a meno di Dio ». Non solo i cristiani, ma anche i buddisti, i musulmani, i confuciani erano scomparsi: l’ateismo di Stato pareva condiviso dal popolo. In Occidente e in Italia, Mao era considerato da giornalisti e « profeti » il vero salvatore della Cina, che, si diceva, ogni giorno dà una ciotola di riso a tutti i cinesi.
Tornato in Italia, ho poi scritto che in Cina la Chiesa cattolica non esiste più, secoli di missione non hanno prodotto frutti. Pensavo: i cosiddetti « cristiani del riso », convertiti dagli aiuti alimentari, non esistono più. Per cui, quando ci sarà libertà in Cina, si dovrà « ricominciare da capo l’evangelizzazione dei cinesi »! Ero ingenuo e cieco, vedevo la realtà cinese solo con i miei poveri occhi umani, non era ancora maturata bene in me la fiducia nello Spirito Santo, protagonista della missione della Chiesa!
Il nostro viaggio in Cina aveva come base un albergo per stranieri a Canton. Dalla città ci portano a vedere le conquiste della Cina maoista, una grande caserma. Al mattino suona la sveglia alle sei: musiche, canti patriottici in tutta la metropoli. Poco dopo, nel grande viale lungo il fiume scendono uomini e donne vestiti tutti più o meno allo stesso modo, pantaloni neri o blu scuro, camicetta bianca. Incomincia la ginnastica quotidiana, diretta da una voce robusta e sonora, con un sottofondo di musiche patriottiche, diffuse in ogni zona della grande città. Poi, tutti al lavoro.
Non visitiamo la Cina, ma una ristretta regione vicina a Canton, dove tornavamo alla sera. Ci mostrano alcune scuole, un ospedale moderno, le « comuni agricole » con la vita comunitaria delle famiglie, tutte impegnate nei lavori, e i bambini mantenuti ed educati dallo Stato. E poi una grande diga, costruita da migliaia di uomini e donne divisi in gruppi: portano pesi sulle spalle, salgono su scale di bambù che solo al vederle vengono i brividi, il lavoro è in gran parte manuale. I vari gruppi di un settore sono in competizione, ovunque bandierine di vario colore per segnare il lavoro fatto, un grande spettacolo. Alla sera si premia il gruppo che ha lavorato di più. Interessante anche la visita all’università. I palazzi antichi, le aule, i laboratori nelle facoltà scientifiche, tutto più o meno come in Occidente. Ma quando entriamo nella grande biblioteca vediamo subito molti scaffali e pochi libri, tutti o quasi in lingua cinese. L’anziano bibliotecario, che parla in francese, mi prende in disparte e mi dice: « I libri in altre lingue li hanno bruciati tutti ».
Alla fine, due giorni di libertà. Un mattino esco col permesso della nostra guida e vado verso la maestosa cattedrale cattolica in stile gotico, costruita dai missionari francesi alla fine dell’Ottocento. La cattedrale è dietro a una cancellata chiusa. La fotografo con un quadro di Mao sopra il portale. Di fianco alla cattedrale una grande tettoia dove scaricano i rifiuti di quel quartiere. I miei confratelli di Hong Kong mi hanno poi spiegato che quello era un marchio di disprezzo per quell’edificio straniero. Dopo la cattedrale, mi fermo un po’ su una panca nella piazza vicina e rientro in albergo. Vado in stanza e mi accorgo che una delle mie due macchine fotografiche non ha più il coperchietto di plastica per la lente. Scendo al ristorante e un cameriere mi porge su un vassoio quel coperchio e dice: « L’ha lasciato lei sulla panca della piazza qui vicino? ». E io, ingenuo, pensavo di essere libero!
In albergo, mi alzo alle due del mattino e celebro la messa sul tavolo della stanza. Messe commoventi nel silenzio notturno, pensando a tutti i cristiani nelle carceri e nei campi di lavoro e di sterminio cinesi, i laogai. Mentre era in corso la « rivoluzione culturale », non c’era nessuna chiesa aperta: sembrava che la Chiesa in Cina fosse letteralmente scomparsa.
Ma dopo la morte di Mao, che avviene nel 1976, la Chiesa risorge dalle ceneri. Verso il 1979-1980, cristiani cinesi incominciano a scrivere ai missionari italiani del PIME espulsi dalla Cina 20-25 anni prima. Lettere molto semplici, di gente di campagna, che ha sperimentato la sofferenza, la persecuzione, il carcere, i campi di lavoro forzato e arriva a scrivere frasi come questa: « Sono contento di aver sofferto per la fede in Gesù Cristo ».
Quella gente ha conservato la fede in condizioni difficilissime, senza chiese, senza sacerdoti, senza comunità cristiana, anzi in presenza di uno Stato totalitario che per quasi trent’anni ha perseguitato tutte le religioni. In quelle lettere i cristiani cinesi chiedono non denaro, ma oggetti sacri: rosari, Vangeli, immagini della Madonna, medaglie, libri di preghiera.
La rinascita della Chiesa cinese è un vero e proprio miracolo. Torno in Cina una seconda volta nell’estate 1980, insieme con padre Giancarlo Politi, missionario a Hong Kong, che parlava bene il cinese. Così visitiamo una diocesi dove nel 1973 non avevo trovato nessun segno di presenza cristiana. A Sheqi incontriamo il vescovo e un sacerdote, con alle spalle 25 e 31 anni di carcere. I non cristiani che chiedono l’istruzione religiosa – dicono – sono tanti. Purtroppo non ci sono libri, segni sacri, non è possibile dare loro un’adeguata formazione cristiana. Chiedo come mai ci sono queste richieste di conversione, quando la Chiesa è così povera di preti e di materiale formativo: Vangeli, immagini, libri di preghiere. Il vescovo risponde: « Noi non predichiamo, ma la vita dei cristiani annunzia il Vangelo e una società alternativa a quella presente. Tutti sanno chi sono i cristiani: ci hanno visti quando siamo stati perseguitati, processati e condannati ingiustamente: non abbiamo mai maledetto nessuno, anche in carcere e nei campi di lavoro forzato la testimonianza dei cristiani ha convertito molti al Vangelo. E ora che siamo tornati alle nostre case, non cerchiamo vendette, non ci lamentiamo per quanto abbiamo patito, aiutiamo quelli che sono bisognosi del nostro aiuto. Credo che da qui vengano le richieste di istruzione religiosa e le conversioni ».
Nell’ottobre 2000 la mia terza visita in Cina. Nel mio soggiorno a Canton incontro 26 giovani suore, in pantaloni neri, camicetta bianca, senza velo, capelli tagliati corti, con un piccolo crocifisso sul petto. Le piccole comunità di suore vivono in appartamenti fra la gente, esercitando ciascuna una professione, un lavoro, interessandosi dei poveri, collaborando con le parrocchie, prendendo contatto con le donne e le famiglie. Chiedo: « È vero che in questi giorni ci sono riunioni di preti, suore e catechisti, convocate dal governo, che vuole indottrinarvi? ». « Sì – rispondono –, è vero, abbiamo una riunione tutti i giorni. Ci raccontano la storia del passato, i crimini e le prepotenze dei popoli cristiani occidentali, i danni che i missionari e le suore hanno fatto al popolo cinese. Però queste lezioni finiranno in pochi giorni e tutto tornerà come prima. Se anche ci fosse qualcosa di vero in quel che dicono, la nostra fede è basata sull’amore a Cristo e sulle esperienze concrete che la fede e la preghiera aiutano a vivere meglio ». Testimonianze di fede e coraggio che non ho dimenticato.
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21 ottobre 2016
General
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20 ott
Buttiglione traduce papa Francesco. Ma dal Cile un filosofo lo boccia
Buttiglione
Ricevo e pubblico. L’autore, nato e cresciuto in Venezuela, emigrato in Cile, filosofo, insegna nella Pontificia Universidad Católica de Chile e dirige il Centro de Estudios Tomistas della Universidad Santo Tomás. Ha un blog di nome « El abejorro ».
Settimo Cielo ha pubblicato tempo fa un suo commento sul ruolo della Chiesa nella crisi del Venezuela.
Questa che segue è la sua critica all’interpretazione di « Amoris laetitia » fatta da Rocco Buttiglione su « L’Osservatore Romano », un’interpretazione condivisa e apprezzata da vescovi e cardinali vicini a papa Francesco, tra i quali l’arcivescovo di Chicago Blase Cupich, prossimo a ricevere la porpora.
Dal 18 ottobre il professor Buttiglione è titolare di una nuova cattedra di filosofia e storia delle istituzioni europee intitolata a Giovanni Paolo II, nella Pontificia università lateranense di Roma.
*
UNA RISPOSTA ALL’INTERPRETAZIONE DI « AMORIS LAETITIA » FATTA DA ROCCO BUTTIGLIONE
di Carlos A. Casanova
Il 19 luglio scorso il professor Rocco Buttiglione ha pubblicato su « L’Osservatore Romano » un’apologia dell’esortazione apostolica « Amoris laetitia ». Tale apologia ha creato in me l’impressione che Buttiglione stia forzando verso un aperto contrasto con il solenne magistero della Chiesa un documento che è soltanto ambiguo. Nella speranza di chiarire il quadro ho deciso di scrivere queste righe.
Il professor Buttiglione sottopone alla nostra attenzione una difficile situazione così immaginata:
« Possiamo immaginare circostanze nelle quali una persona divorziata risposata può trovarsi a vivere una situazione di colpa grave senza piena avvertenza e senza deliberato consenso? È stata battezzata ma mai veramente evangelizzata, ha contratto il matrimonio in modo superficiale, poi è stata abbandonata. Si è unita con una persona che l’ha aiutata in momenti difficili, l’ha amata sinceramente, è diventata un buon padre o una buona madre per i figli avuti dal primo matrimonio.
« Potrebbe proporle di vivere insieme come fratello e sorella; ma che fare se l’altro non accetta? A un certo punto della sua vita tormentata questa persona incontra il fascino della fede, riceve per la prima volta una vera evangelizzazione. Forse il primo matrimonio non è veramente valido, ma non c’è la possibilità di adire un tribunale ecclesiastico o di fornire le prove della invalidità. Non proseguiamo oltre con gli esempi perché non vogliamo entrare in una casistica infinita ».
Riguardo a questo caso, Buttiglione sostiene che gli insegnamenti di « Amoris laetitia » sono in linea con il magistero di Giovanni Paolo II in un modo peculiare:
« Una volta i divorziati risposati erano scomunicati ed esclusi dalla vita della Chiesa. Con il nuovo ‘Codex iuris canonici’ e con ‘Familiaris consortio’ la scomunica viene tolta ed essi vengono incoraggiati a partecipare alla vita della Chiesa e a educare cristianamente i loro figli. Era una decisione straordinariamente coraggiosa che rompeva con una tradizione secolare. ‘Familiaris consortio’ ci dice però che i divorziati risposati non potranno ricevere i sacramenti. Il motivo è che vivono in una condizione pubblica di peccato e che bisogna evitare di dare scandalo ».
Tuttavia, aggiunge il professore Buttiglione, in una situazione difficile del tipo sopra descritto sarebbe possibile che si verifichi il caso in cui una persona ha vissuto oggettivamente in una situazione di peccato ma non ha commesso i suoi peccati con piena consapevolezza e/o pieno consenso. Pertanto, si potrebbe fare un passo al di là di quelli fatti da Giovanni Paolo II, anche per motivi pastorali.
Ma Buttiglione trascura qui un passaggio importante di « Familiaris consortio » n. 84. Ed è la vera ragione per cui Giovanni Paolo II stabilisce che i civilmente divorziati e risposati che non hanno annullato il loro primo matrimonio non possono accedere ai sacramenti. Il papa afferma: « La Chiesa ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati ». È la Sacra Scrittura che esclude la comunione per questi cristiani.
Buttiglione prosegue: « Non c’è dubbio che il divorziato risposato sia oggettivamente in una condizione di peccato grave; Papa Francesco non lo riammette alla comunione ma, come tutti i peccatori, alla confessione ».
Ma così Buttiglione trascura il fatto che papa Giovanni Paolo II non ha pronunciato la sua sentenza solo sulla comunione, ma anche sulla confessione, di nuovo in « Familiaris consortio » n. 84:
« La riconciliazione nel sacramento della penitenza – che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico – può essere accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l’indissolubilità del matrimonio. Ciò comporta, in concreto, che quando l’uomo e la donna, per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – non possono soddisfare l’obbligo della separazione, assumono l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi”.
Verso la fine del suo articolo, per un breve momento, Buttiglione sembra adottare una prospettiva giuridica canonica che egli ha trascurato nel resto del suo intervento e senza la quale non si può comprendere appieno la Chiesa. Scrive: « Adesso il divorzio è un fenomeno di massa e rischia di trascinare con sé un’apostasia di massa se di fatto i divorziati risposati abbandonano la Chiesa e non danno più un’educazione cristiana ai loro figli ».
Ma qui il mio amico sembra dimenticare che la Chiesa non ha mai cercato di preservare la sua unità con l’annacquamento del suo insegnamento, proprio come Elia e i profeti non cercarono di preservare il regno di Israele con l’abbandono del vero culto di Yahweh.
Cristo ha detto ai farisei che Mosè si è staccato dalla legge naturale quando ha permesso agli israeliti di produrre un certificato di divorzio (« All’inizio non era così »), e che ha deciso questo a motivo della durezza di cuore del popolo ebraico del si tempo. (Secondo alcuni Padri della Chiesa, se Mosè non avesse permesso il divorzio gli israeliti sarebbero arrivati a uccidere le loro mogli). Ciò significa che una persona priva di istruzione cristiana potrebbe essere in grado di comprendere l’indissolubilità del matrimonio, proprio nel modo in cui, di fatto, Platone l’ha compresa (vedi « Leggi » 8, 838-841). Ma la chiave di tutta questa questione sta in ciò che dico ora.
Una persona può magari vivere nelle ombre dell’oscurità e dell’ignoranza senza essere responsabile di un fallimento coniugale nella stessa misura di una persona ben istruita. Ma se il matrimonio di quella persona era valido e nonostante ciò essa risulta sposata di nuovo, tale persona è bigama. Se la persona vive con un altro uomo senza apparire come sposata, è adultera. Come dice Buttiglione, tutti i santi « erano ben consapevoli che il giudice ultimo è Dio solo ». Solo Lui può giudicare il segreto del cuore. Ma il sacerdote deve giudicare non il segreto del cuore, ma secondo ciò che la prudenza chiede al pastore secondo la legge di Cristo.
Per questo motivo, se una donna che ha vissuto nelle tenebre dell’ignoranza va da un sacerdote, questo sacerdote è obbligato pastoralmente a portarla alla luce dell’insegnamento di Cristo. Da quel momento la conoscenza e il consenso non possono mancare, se la donna rimane nella situazione di peccato in cui ha vissuto. Se il suo matrimonio canonico è valido, il sacerdote deve guidarla ad avviare un cammino di penitenza che potrebbe portare all’abbandono dell’uomo che ora vive con lei. Oppure potrebbe portarla al momento in cui lei sarebbe pronta a prendere l’impegno pubblico di vivere come sorella, di astenersi dal commettere adulterio.
Come ho detto al professor Buttiglione, io ho una cugina che ha seguito il secondo percorso ed è vissuta ed è morta, al pari del suo compagno, in un modo esemplare. Per anni ha frequentato fedelmente la chiesa e ha pregato e ha partecipato alla messa, limitandosi alla comunione spirituale. Alla fine, entrambi sono stati in grado di assumere l’impegno pubblico di vivere come fratello e sorella. Lei ha beneficiato della vera misericordia illustrata da Giovanni Paolo II in « Familiaris consortio » n. 84. Ha beneficiato della carità che dice la verità intera, senza comprometterla in nome di una falsa misericordia.
Questo è stato il cammino dei catecumeni nella Chiesa primitiva. C’erano delle masse che volevano condividere la grazia di Cristo, ma avevano abitudini e punti di vista che erano in contrasto con gli insegnamenti di Cristo. L’esemplare prudenza di quei tempi portava a ritardare il battesimo, un sacramento che, a differenza della comunione, è necessario per entrare in cielo. E questo è anche ciò che Dio fa nel purgatorio.
Se il sacerdote arriva alla convinzione che il matrimonio canonico della donna non è valido, allora deve aiutarla a ottenere la sentenza di annullamento canonico. Francesco ha promulgato nuovi canoni che facilitano questo cammino, anche se lo fanno in un modo problematico, che non ho intenzione di prendere in considerazione ora. Ma sarebbe utile esplorare delle vie per tenere ferma la legge di Cristo e consentire la massima conformità possibile tra l’ordine canonico e il giudizio di una coscienza fedele.
Anche Giovanni Paolo II ha considerato il caso di una persona che pensa che il suo matrimonio sia nullo ma non è in grado di ottenere una sentenza canonica: ci sono alcuni « che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido » (FC 84). Proprio pensando a queste persone, egli ha dichiarato che esse non possono ricevere i sacramenti, a causa di ciò che afferma la Sacra Scrittura, come ho detto in precedenza. Perché la dimensione canonica della Chiesa esige che non ricevano i sacramenti coloro che, secondo il giudizio canonico prudente espresso dall’autorità o dal tribunale competente, si trovino in una situazione di adulterio o di bigamia e non siano disposti a modificare la loro vita, per esempio con l’impegno dell’astinenza.
Rocco Buttiglione ha posto esplicitamente in contrasto con il solenne magistero della Chiesa un testo che è soltanto ambiguo e che ha bisogno di un chiarimento in linea con il magistero stesso. Se la donna del suo esempio non è in grado di modificare la sua vita secondo le linee proposte dal magistero, ella non può ricevere l’assoluzione dei suoi peccati, come ha dichiarato solennemente il Concilio di Trento. Se Buttiglione affermasse che nel suo caso i rapporti sessuali con l’uomo che non è suo sposo non sono adulterini, a motivo delle circostanze, allora andrebbe contro gli insegnamenti di « Veritatis splendor ». Se ritenesse che tali rapporti sessuali sono adulterini, ma che per lei è impossibile modificare la sua vita, si dovrebbe concludere con il Concilio di Trento che tale donna non è in uno stato di grazia santificante. Perché è anatema chi sostiene che una persona può vivere in uno stato di grazia santificante e al tempo stesso non essere capace di adempiere la legge di Dio.
Ho fatto leggere la mia critica all’autore. Egli ha risposto che è possibile commettere atti gravemente immorali e, nonostante ciò, rimanere nella grazia di Dio. Secondo lui, questa è la dottrina tradizionale della Chiesa nel caso di soldati che si trovino a combattere una guerra. In questo caso, anche coloro che uccidono altri esseri umani possono confessarsi e fare la comunione. Forse che esiste, mi ha domandato, un’azione più cattiva dell’uccisione di un essere umano? E allora una persona costretta a compiere atti sessuali illeciti (che è un male minore dell’uccisione di un altro essere umano) non può ottenere lo stesso trattamento?
Ma questa risposta, gli ho replicato, trascura l’insegnamento sull’oggetto morale contenuto in « Veritatis splendor » n. 78. « Uccidere esseri umani » non è un oggetto morale, ma « commettere omicidio » invece lo è. Un atto di legittima difesa è un atto giusto e lecito, anche se un essere umano viene ucciso.
A questo Buttiglione ha risposto che « l’uccisione di un essere umano è sempre una materia grave di peccato » e che la Chiesa perdona chi uccide anche in una guerra offensiva, perché « la Chiesa pensa che tale persona non sia pienamente colpevole delle azioni sbagliate che commette”.
Sembra a me che questa risposta contenga non l’insegnamento della Chiesa, ma un influsso hegeliano: ci sono delle cattive azioni, come « uccidere » in ogni circostanza, che però a volte sono ammesse, non sono imputabili a chi le compie, perché costui è stato costretto ad eseguire tali azioni. La dottrina hegeliana su questo punto suona umanitaria (uccidere è sempre un crimine!), ma in realtà è maligna, perché potrebbe consentire atti di uccisione che sono, in realtà, ingiusti, mentre invece il cristianesimo insegna che ci sono atti di uccisione giusti e atti di uccisione ingiusti. Se uno capisce che un atto di uccisione è ingiusto, costui deve astenersi dal farlo, anche se la sua vita è in gioco, non importa se si sente costretto. Deve portare la sua croce.
Ammetto che qualche costrizione data dalle circostanze è possibile e che una formazione carente potrebbe ridurre la responsabilità morale. Ma la persona che, alla luce della legge di Cristo, commette abitualmente un atto intrinsecamente cattivo non può ricevere i sacramenti, fino a quando tale persona non avrà il fermo proposito di correggersi. Tale persona può pregare, partecipare alla messa, chiedere la luce, pregare per la sua conversione. Questo è ciò che la Chiesa primitiva faceva, quando sottoponeva a un lungo cammino catecumenale coloro che volevano essere battezzati.
Il vero servizio al papa sta nell’andare da lui a chiedergli con spirito filiale di chiarire in base al solenne magistero della Chiesa le ambiguità contenute in « Amoris laetitia ». Aggiungere confusione alla confusione non è un vero servizio.
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20 ottobre 2016
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16 ott
Il nuovo « papa nero » è uno scienziato della politica
sosa
Nella foto qui sopra c’è l’inizio di un articolo pubblicato dal neoeletto superiore generale della Compagnia di Gesù, il venezuelano Arturo Marcelino Sosa Abascal, sulla rivista « SIC » del Centro Gumilla de Investigación y Acción Social dei gesuiti di Caracas, l’una e l’altro da lui animati e diretti dal 1979 al 1996, prima di diventare rettore della Universidad Católica del Táchira, poi dal 2004 consigliere nella curia generalizia dei gesuiti a Roma, e infine « papa nero ».
Ciò che è curioso di questo articolo, è che stato messo in rete nell’archivio web della rivista con sulle pagine le stroncature a penna annotate da un confratello di padre Sosa che era in radicale disaccordo con lui sulla materia in oggetto:
> La mediación marxista de la fe cristiana
L’articolo è del 1978 e da allora molta acqua è passata. Difficile dire quanto ancora padre Sosa sottoscriverebbe, oggi, delle tesi da lui sostenute allora. Si era infatti negli anni ruggenti in cui il marxismo era linguaggio d’obbligo dei movimenti ribelli del terzo mondo, cattolici compresi. E padre Sosa scriveva che una « mediazione marxista della fede cristiana » era non solo « legittima » ma « necessaria », accettando anche l’ateismo della critica marxista della religione perché – a suo giudizio – tale critica colpiva non il Dio vero ma il falso dio prodotto e impersonato dal dominio capitalista e dallo stato borghese.
Poi in America latina e in Venezuela sono capitate tante cose. E nel suo ultimo articolo pubblicato su « SIC », nel maggio del 2014, padre Sosa ha condannato senza attenuanti la « rivoluzione statalista » imposta al suo paese da Hugo Chávez e dal suo successore: una « dittatura totalitaria » che con l’uso strumentale dei plebisciti spaccia per democrazia una reale « tirannia della maggioranza ».
Colpisce però che i gesuiti abbiamo eletto come superiore generale – regnante il primo papa gesuita della storia – un loro confratello che per tutta la vita ha scritto e discusso solo di politica e di scienze sociali.
Nel profilo biografico, infatti, che nel sito web del Centro Gumilla condensa la vita e le opere di padre Sosa, in una quarantina di righe la parola « politica » ricorre ben diciannove volte, mentre la parola « teologia » una volta sola, confinata ai suoi studi giovanili.
E la politica è stata sempre anche la materia del suo insegnamento, sia alla Georgetown University di Washington, dove fu invitato nel 2004, sia ai militari dello Stato maggiore e della Scuola superiore delle forze aeree del Venezuela, dove tenne cattedra dal 1985 al 1994.
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16 ottobre 2016
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13 ott
Contrordine. Al posto del cardinale Sarah ci sarà il papa
Sarah
« Un pastore del gregge di Gesù Cristo non è mai orientato soltanto alla cerchia dei propri fedeli. La comunità della Chiesa è universale anche nel senso che include tutta la realtà. Ciò appare evidente, per esempio, nella liturgia, che non indica soltanto la commemorazione e il compimento degli atti salvifici di Gesù Cristo. È in cammino verso la redenzione dell’intera creazione. Nell’orientamento della liturgia verso oriente, vediamo che i cristiani, insieme al Signore, desiderano procedere verso la salvezza del creato nella sua interezza. Cristo, il Signore crocifisso e risorto, è al tempo stesso anche il ‘sole’ che illumina il mondo. Anche la fede è sempre diretta verso la totalità del creato ».
Così il « papa emerito » Benedetto XVI in un suo contributo per un libro in onore del patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo, riprodotto su « L’Osservatore Romano » di giovedì 13 ottobre.
Per aver detto queste stesse cose e per aver sollecitato la Chiesa a prenderne coscienza e ad agire di conseguenza nelle celebrazioni liturgiche, il cardinale Robert Sarah, prefetto della congregazione per il culto divino, è stato punito lo scorso luglio con una brutale sconfessione pubblica:
> « È opportuna una precisazione… »
Sarah non si è arreso, e nel suo nuovo libro pubblicato una decina di giorni fa è tornato a ribadire quanto sia importante celebrare « versus orientem »:
> La riforma della riforma « si farà »
Intanto, però, un altro attacco proditorio è stato compiuto contro di lui.
Il 27 ottobre prossimo è in programma l’inaugurazione del nuovo anno accademico del Pontificio istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia. E proprio il cardinale Sarah era stato chiamato a tenere la prolusione.
Ma ai primi di ottobre è arrivato il clamoroso contrordine. A inaugurare il nuovo anno accademico non sarà più Sarah, ma papa Francesco in persona.
C’era da aspettarselo. Perché nel frattempo, in estate, l’istituto è stato terremotato. Il papa gli ha messo in cima, come gran cancelliere, un suo famiglio, monsignor Vincenzo Paglia, contemporaneamente promosso anche a presidente della Pontificia accademia per la vita:
> Ultimi fuochi di Paglia. Con una doppia nomina in arrivo
E poco dopo è stato sostituito anche il preside dell’istituto, con PierAngelo Sequeri al posto di Livio Melina.
Il risultato è che ora Paglia si fa vanto a destra e a manca di aver ottenuto lui dal papa che venga di persona a tenere la prolusione e a inaugurare il « nuovo corso » nel segno della modernità e dell’apertura, al posto dell’antiquato e chiuso Sarah.
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13 ottobre 2016
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12 ott
Papa Francesco e i transessuali. Le obiezioni di Spaemann jr
Spaemann
In un precedente post del 3 ottobre, Settimo Cielo ha pubblicato tal quale, come uscito dalla bocca di papa Francesco, il racconto da lui fatto in aereo, nel volo di ritorno dall’Azerbaijan a Roma, della vicenda di un transessuale spagnolo al quale aveva dato calorosa udienza in Vaticano assieme alla « sua sposa ».
Il racconto fatto dal papa non coincide del tutto con quello reso noto dallo stesso transessuale, Diego Neria Lejarraga, nei giorni della sua udienza in Vaticano, avvenuta il 24 gennaio 2015. Nella riscrittura papale alcuni particolari sono spinti al limite della caricatura, al fine di caldeggiare non solo la piena accoglienza nella Chiesa di persone con una simile storia, ma anche, se « sposate », a dare loro l’assoluzione e la comunione, legittimando di fatto le loro convivenze.
Con ciò, papa Francesco ha compiuto uno strappo rispetto alla vigente disciplina della Chiesa, che non consente ai transessuali la celebrazione del matrimonio sacramentale, stando a quanto ribadito dalla congregazione per la dottrina della fede con una lettera ai vescovi tedeschi del 28 maggio 1991 e con un « appunto » per la congregazione per i religiosi del 2000, come anche dalla conferenza episcopale italiana con una notificazione del 21 gennaio 2003.
Quasi nessuno, nel riportare le parole del papa, ha rilevato questo strappo, né l’ha criticato.
Ma esso non è passato inosservato al tedesco Christian Spaemann, 59 anni, di professione psichiatra ma anche con una solida formazione teologica, che ci ha inviato questo suo commento.
Di suo padre, Robert Spaemann, uno dei maggiori filosofi cattolici viventi, coetaneo e amico di Joseph Ratzinger, Settimo Cielo ha pubblicato il 28 aprile e il 17 giugno due memorabili stroncature di « Amoris laetitia ».
Anche Christian Spaemann ha criticato l’esortazione postsinodale, su Kath.net del 22 luglio 2016:
> « Sakramentale Barmherzigkeit », Weiterführung von « Familiaris consortio »?
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NOTE SULLE AFFERMAZIONI DI PAPA FRANCESCO SUI TRANSESSUALI
di Christian Spaemann
Durante il suo volo di ritorno dall’Azerbaijan, il 2 ottobre 2016, tra i tanti temi affrontati, papa Francesco ha toccato quello dell’approccio pastorale ai transessuali.
Nel farlo, egli è partito dalla vicenda di una ragazza che, sin da bambina, si sentiva come un maschio. Dopo la morte della mamma, « lui » si era fatto operare e poi si sarebbe sposato e gli aveva scritto e chiesto di potergli far visita « con la sua sposa ». « Lui », cito il papa testualmente, « che era lei, ma è lui ».
Il papa ha continuato raccontando del vecchio sacerdote del quartiere dove « lui » abitava, che, quando lo incontrava, insisteva nell’invitarlo alla confessione e alla comunione.
« La vita è la vita e le cose si devono prendere come vengono », così il papa.
Anche se questo colloquio di Francesco con dei giornalisti non è certo una trattazione antropologica, ma riguarda delle considerazioni pastorali, restano, tuttavia, aperte alcune questioni essenziali, proprio riguardo alla pastorale. Ci siano allora consentite alcune osservazioni.
La transessualità implica un grave dolore, soprattutto per le persone direttamente coinvolte, ma anche per i loro parenti e, soprattutto, per i loro bambini. È una sofferenza che con misure ormonali o chirurgiche può solo essere attenuata. Vi sono studi che dimostrano che, anche dopo operazioni di cambiamento del sesso, i transessuali sono esposti a crescenti disturbi psichici, tentativi di suicidio e a un tasso effettivo di suicidi che è venti volte superiore al normale. Ricorre spesso anche il desiderio di operazioni di ripristino della precedente condizione fisica.
Il fenomeno della transessualità è ampiamente strumentalizzato dagli attivisti del « gender » per i loro scopi politico-sociali, con una relativizzazione della naturale dicotomia sessuale (sostanzialmente un’assurdità, dato che proprio i transessuali, con il loro deciso desiderio di appartenere all’altro sesso, confermano l’esistenza di tale dicotomia sessuale).
Nel frattempo ci si è spinti tanto oltre da considerare preminente per la definizione del sesso la percezione soggettiva di sé e da parlare, eufemisticamente, di operazioni « per l’adeguamento sessuale ». Fa paura la fretta con cui oggigiorno si spingono dei giovani nella pubertà a interventi di tipo operatorio. Non c’è davvero nulla di cui gloriarsi per lo stato attuale della scienza medica e psicologica, quando essa agisce con ormoni e bisturi per eliminare un profondo disturbo di identità. Le complesse operazioni chirurgiche e l’assunzione perpetua di ormoni non riuscirà produrre se non una sorta di « fake sexuality », di sessualità artefatta. Un transessuale sarà sempre una donna che è stata operata come uomo e una transessuale rimarrà sempre un uomo che è stato operato come donna. Già solo per questo, la scelta dei termini da parte del papa avrebbe dovuto essere più prudente.
La condizione di dolore delle persone che si sentono transessuali, al punto da indurre tendenze al suicidio, può essere tanto grande che, in assenza di alternative, anche da parte della Chiesa difficilmente si possono rifiutare del tutto delle misure chirurgiche e ormonali volte a ridurre questa sofferenza, una volta esaurite tutte le altre possibilità.
Qui il divieto dell’automutilazione deve essere valutato all’interno di una valutazione prudente dei costi e dei benefici, come ultima « ratio ».
Oggi dovrebbe, inoltre, essere un’ovvietà accompagnare queste persone sul piano pastorale, rivolgersi a loro nel modo che esse auspicano e integrarle nella vita della Chiesa.
Da ultimo, l’anima umana ha la possibilità di rivolgersi direttamente a Dio indipendentemente dalla propria sensibilità e caratterizzazione sessuale. Sostenere e incoraggiare questa relazione con Dio è il primo compito della pastorale. In questo non si può trovare uno specifico ostacolo per l’accesso ai sacramenti della confessione e della comunione, anche se, certamente, c’è bisogno di una specifica direzione spirituale, per affidare alla misericordia di Dio quell’identità sessuale, non precostituita per natura e psicologicamente agognata, invece che impossessarsene come una sorta di diritto all’autodeterminazione, così come si propaga oggi. Si tratta, inoltre, anche di accettare il fatto che nei registri parrocchiali dei battesimi non è possibile un cambiamento nell’indicazione del proprio stato sessuale.
Se, tuttavia, si parla per i transessuali di matrimonio con quello che da loro è ritenuto « l’altro sesso », si deve tenere per fermo che non si tratta di un vero matrimonio, nel significato proprio del termine, né in senso naturale né in senso ecclesiale.
Di conseguenza, come anche la congregazione per la dottrina della fede aveva rilevato nell’anno 2000 in una direttiva riservata [trapelata nel 2003], un matrimonio sacramentalmente valido non è possibile in simili casi.
Dato infatti che per quanto riguarda la sessualità umana in una prospettiva cattolica esistono solo due forme di vita che corrispondono alla natura e alla dignità della persona umana, vale a dire la sessualità vissuta all’interno del matrimonio tra uomo e donna o l’astinenza, la Chiesa non ha alcuna potestà a legittimare una relazione di carattere sessuale tra transessuali, senza la precondizione della continenza, mediante l’amministrazione del sacramento della confessione o della comunione.
In linea con l’ordinamento sacramentale della Chiesa (cfr. “Sacramentum caritatis” 29) vale anche in questo caso il principio per cui si deve affidare tutto, in umiltà, alla misericordia di Dio, senza pretendere di poterne disporre pregiudizialmente mediante l’amministrazione dei sacramenti.
(Traduzione dall’originale tedesco di Giuseppe Reguzzoni, Zurigo)
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12 ottobre 2016
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09 ott
Tredici nuovi cardinali più quattro. Vincitori e vinti del prossimo concistoro
léonard
La torta in faccia che si buscò sei anni fa l’arcivescovo di Bruxelles André-Joseph Léonard, dileggiato (vedi foto) per le sue posizioni tradizionali sia in dottrina che in pastorale, ha trovato oggi una ben più sostanziosa replica nella porpora conferita da papa Francesco al suo successore e rivale progressista, Jozef De Kesel.
Nei precedenti concistori, aveva ripetutamente creato sconcerto il rifiuto di papa Jorge Maria Bergoglio di far cardinale Léonard, nonostante l’importanza della sede da lui governata e le qualità della persona. Si disse che il nuovo papa non volesse più privilegiare le diocesi storicamente cardinalizie, a vantaggio delle « periferie ». Ma con De Kesel questo scrupolo è prontamente caduto. Titolo di merito del neocardinale è d’essere pupillo di Godfried Danneels, predecessore di Léonard e capofila della « mafia » – definizione sua – di San Gallo, il club cardinalizio dei grandi elettori di Bergoglio nel conclave fallito del 2005 e in quello riuscito del 2013.
Ma questa non è affatto l’unica botta messa a segno da papa Francesco con l’annuncio dei tredici nuovi cardinali, più altri quattro d’età non più da conclave, da lui fatto al termine dell’Angelus di questa domenica 9 ottobre.
È vero che qualche promozione di « periferia » c’è, come quelle degli arcivescovi di Bangui nella Repubblica Centroafricana, di Dhaka in Bangladesh, di Port-Louis nelle Isole Maurizio e di Port Moresby in Papua Nuova Guinea.
Ma anche alcune grandi diocesi tradizionalmente cardinalizie sono state premiate con la porpora. Ad esempio quella di Madrid, il cui arcivescovo Carlos Osoro Sierra, lì collocato dallo stesso Bergoglio, sì è guadagnata la promozione anche per aver lasciato esposti al pubblico ludibrio, senza prenderne le difese, due suoi vescovi suburbicari colpevoli di aver criticato i matrimoni omosessuali.
Ma a far più scalpore è il conferimento della porpora al titolare di un’altra grande diocesi storicamente cardinalizia, quella di Chicago. Il premiato è Blase J. Cupich, cioè l’uomo su cui Bergoglio ha puntato di più per rovesciare a proprio vantaggio gli equilibri di forze dentro la conferenza episcopale degli Stati Uniti. Non solo. I nuovi cardinali statunitensi sono ben tre su tredici. E uno di questi, Joseph W. Tobin, arcivescovo di Indianapolis, ha ottenuto la sua rivincita dopo essere stato estromesso nel 2012 dalla curia vaticana – dove era il numero due della congregazione per i religiosi – per aver scopertamente appoggiato le suore americane ultraprogressiste.
Il terzo nuovo cardinale statunitense, sia pur di nascita irlandese, è Kevin J. Farrell, da poco chiamato a Roma come prefetto del neonato dicastero per i laici, la famiglia e la vita. A suo proposito si può notare che in questa carica ha soffiato il posto – e di conseguenza la porpora – a monsignor Vincenzo Paglia, l’ecclesiastico di più alto grado della Comunità di Sant’Egidio. La quale è quindi rimasta all’asciutto anche in questo concistoro, alla pari dell’Opus Dei, il cui arcivescovo più in vista, José Horacio Gómez, è titolare di Los Angeles, un’altra delle grandi diocesi storiche, ma è anche per sua sfortuna agli antipodi dell’ultrabergogliano Cupich.
Tra gli altri promossi, è curioso che il Venezuela abbia, per la prima volta nella storia, un secondo cardinale (mentre altri paesi dell’America latina non ne hanno nemmeno uno), forse per ridimensionare la preminenza dell’arcivescovo di Caracas, Jorge L. Urosa Savino, che è uno dei tredici cardinali della famosa lettera di protesta che irritò grandemente Francesco all’inizio del sinodo dello scorso ottobre.
Più di vetrina è il cardinalato dato all’attuale nunzio in Siria, Mario Zenari. Così come, tra gli ultraottantenni, la porpora conferita a Renato Corti, vescovo emerito di Novara e molto vicino, in passato, al cardinale gesuita Carlo Maria Martini, durante l’episcopato di questi a Milano.
Commovente la porpora per il vecchio sacerdote albanese Ernest Simone, martire vivente delle atroci persecuzioni del passato regime.
Ecco di seguito i tredici nuovi cardinali elettori, nell’ordine e con le qualifiche con cui sono stati annunciati da papa Francesco:
1. Mons. Mario Zenari, che rimane Nunzio Apostolico nell’amata e martoriata Siria (Italia);
2. Mons. Dieudonné Nzapalainga, C.S.Sp., Arcivescovo di Bangui (Repubblica Centrafricana);
3. Mons. Carlos Osoro Sierra, Arcivescovo di Madrid (Spagna);
4. Mons. Sérgio da Rocha, Arcivescovo di Brasilia (Brasile);
5. Mons. Blase J. Cupich, Arcivescovo di Chicago (U.S.A.);
6. Mons. Patrick D’Rozario, C.S.C., Arcivescovo di Dhaka (Bangladesh);
7. Mons. Baltazar Enrique Porras Cardozo, Arcivescovo di Mérida (Venezuela);
8. Mons. Jozef De Kesel, Arcivescovo di Malines-Bruxelles (Belgio);
9. Mons. Maurice Piat, Arcivescovo di Port-Louis (Isola Maurizio);
10. Mons. Kevin Joseph Farrell, Prefetto del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita (U.S.A.);
11. Mons. Carlos Aguiar Retes, Arcivescovo di Tlalnepantla (Messico);
12. Mons. John Ribat, M.S.C., Arcivescovo di Port Moresby (Papua Nuova Guinea);
13. Mons. Joseph William Tobin, C.SS.R., Arcivescovo di Indianapolis (U.S.A.).
Più i quattro ultraottantenni:
1. Mons. Anthony Soter Fernandez, Arcivescovo Emerito di Kuala Lumpur (Malaysia);
2. Mons. Renato Corti, Arcivescovo [per l’esattezza: Vescovo – ndr] Emerito di Novara (Italia);
3. Mons. Sebastian Koto Khoarai, O.M.I, Vescovo Emerito di Mohale’s Hoek (Lesotho);
4. Reverendo Ernest Simoni, Presbitero dell’Arcidiocesi di Shkodrë-Pult (Scutari – Albania).
Il concistoro in cui saranno fatti cardinali è in programma per il 19 e 20 novembre.
Dopo questo concistoro, in un ipotetico conclave non avranno un cardinale, in America latina, Cuba, Repubblica Dominicana, Ecuador, Bolivia, Paraguay. Quest’ultimo paese non ha mai avuto un cardinale in tutta la sua storia.
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09 ottobre 2016
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03 ott
« Lui, che era lei, ma è lui… ». Tutto quello che il papa ha detto su divorzio e « gender »
Aereo
Ad accendere la miccia è stata una donna georgiana di nome Irina, madre di due figli, che il 1 ottobre, nel rivolgere a papa Francesco la sua « testimonianza » nella chiesa dell’Assunta a Tbilisi, ha lamentato le crescenti difficoltà dell’istituto familiare, assediato da un lato dalla pressione a sciogliere i matrimoni – « che rischia di diventare una cosa normale », ha detto, anche perché « nella Chiesa Ortodossa la separazione è molto facilitata e questo influisce sulle nostre coppie » – e dall’altro lato dalle « nuove visioni della sessualità come la teoria del gender ».
Rispondendole a braccio, Francesco ha detto tra l’altro, a proposito del divorzio:
« L’uomo e la donna che diventano una sola carne sono immagine di Dio… Irina, tu sai chi paga le spese del divorzio? Due persone, pagano. Chi paga? [Irina risponde: Tutti e due – ndr]. Tutti e due? Di più! Paga Dio, perché quando si divide ‘una sola carne’, si sporca l’immagine di Dio. E pagano i bambini, i figli. Voi non sapete, cari fratelli e sorelle, voi non sapete quanto soffrono i bambini, i figli piccoli, quando vedono le liti e la separazione dei genitori! Si deve fare di tutto per salvare il matrimonio ».
E a proposito del « gender »:
« Tu, Irina, hai menzionato un grande nemico del matrimonio, oggi: la teoria del ‘gender’. Oggi c’è una guerra mondiale per distruggere il matrimonio. Oggi ci sono colonizzazioni ideologiche che distruggono, ma non si distrugge con le armi, si distrugge con le idee. Pertanto, bisogna difendersi dalle colonizzazioni ideologiche ».
Ciò è bastato per proiettare queste parole tra le « breaking news » dei media di tutto il mondo, eclissando tutte le altre questioni riguardanti la Georgia e l’Azerbaijan, mete del viaggio papale.
Era quindi giocoforza che sull’aereo di ritorno a Roma, la sera del 2 ottobre, i giornalisti di nuovo interpellassero Francesco sull’argomento del giorno.
E lui non si è sottratto. Anzi. Ecco qui di seguito la trascrizione testuale delle domande e risposte.
*
SU MATRIMONIO E DIVORZIO
D. [Maria Elena Ribezzo, La Presse, Svizzera] – Santità, lei ieri ha parlato di una guerra mondiale in atto contro il matrimonio, e in questa guerra ha usato parole molto forti contro il divorzio: ha detto che sporca l’immagine di Dio; mentre nei mesi scorsi, anche durante il Sinodo, si era parlato di un’accoglienza nei confronti dei divorziati. Volevo sapere se questi approcci si conciliano, e in che modo.
R. – Tutto è contenuto, tutto quello che ho detto ieri, con altre parole – perché ieri ho parlato a braccio e un po’ a caldo – si trova nell’ »Amoris laetitia », tutto. Quando si parla del matrimonio come unione dell’uomo e della donna, come li ha fatti Dio, come immagine di Dio, è uomo e donna. L’immagine di Dio non è l’uomo [maschio]: è l’uomo con la donna. Insieme. Che sono una sola carne quando si uniscono in matrimonio. Questa è la verità.
È vero che in questa cultura i conflitti e tanti problemi non sono ben gestiti, e ci sono anche filosofie dell’“oggi faccio questo [matrimonio], quando mi stanco ne faccio un altro, poi ne faccio un terzo, poi ne faccio un quarto”. È questa “guerra mondiale” che lei dice contro il matrimonio. Dobbiamo essere attenti a non lasciare entrare in noi queste idee. Ma prima di tutto: il matrimonio è immagine di Dio, uomo e donna in una sola carne. Quando si distrugge questo, si “sporca” o si sfigura l’immagine di Dio. Poi l’ »Amoris laetitia » parla di come trattare questi casi, come trattare le famiglie ferite, e lì entra la misericordia. E c’è una preghiera bellissima della Chiesa, che abbiamo pregato la settimana scorsa. Diceva così: “Dio, che tanto mirabilmente hai creato il mondo e più mirabilmente lo hai ricreato”, cioè con la redenzione e la misericordia. Il matrimonio ferito, le coppie ferite: lì entra la misericordia. Il principio è quello, ma le debolezze umane esistono, i peccati esistono, e sempre l’ultima parola non l’ha la debolezza, l’ultima parola non l’ha il peccato: l’ultima parola l’ha la misericordia!
A me piace raccontare – non so se l’ho detto, perché lo ripeto tanto – che nella chiesa di Santa Maria Maddalena a Vézelay c’è un capitello bellissimo, del 1200 più o meno. I medievali facevano catechesi con le sculture delle cattedrali. Da una parte del capitello c’è Giuda, impiccato, con la lingua fuori, gli occhi fuori, e dall’altra parte del capitello c’è Gesù, il Buon Pastore, che lo prende e lo porta con sé. E se guardiamo bene la faccia di Gesù, le labbra di Gesù sono tristi da una parte ma con un piccolo sorriso di complicità dall’altra. Questi avevano capito cos’è la misericordia! Con Giuda! E per questo, nell’ »Amoris laetitia » si parla del matrimonio, del fondamento del matrimonio come è, ma poi vengono i problemi. Come prepararsi al matrimonio, come educare i figli; e poi, nel capitolo ottavo, quando vengono i problemi, come si risolvono. Si risolvono con quattro criteri: accogliere le famiglie ferite, accompagnare, discernere ogni caso e integrare, rifare.
Questo sarebbe il modo di collaborare in questa “seconda creazione”, in questa ri-creazione meravigliosa che ha fatto il Signore con la redenzione. Si capisce così? Sì, se prendi una parte sola non va! L’ »Amoris laetitia » – questo voglio dire –: tutti vanno al capitolo ottavo. No, no. Si deve leggere dall’inizio alla fine. E qual è il centro? Ma… dipende da ognuno. Per me il centro, il nocciolo dell’ »Amoris laetitia » è il capitolo quarto, che serve per tutta la vita. Ma si deve leggerla tutta e rileggerla tutta e discuterla tutta, è tutto un insieme. C’è il peccato, c’è la rottura, ma c’è anche la misericordia, la redenzione, la cura. Mi sono spiegato bene su questo?
*
SULL’IDEOLOGIA DEL « GENDER »
D. [Joshua McElwee, National Catholic Reporter, Stati Uniti] – Santo Padre, in quello stesso discorso di ieri in Georgia, lei ha parlato, come in tanti altri Paesi, della teoria del « gender!, dicendo che è il grande nemico, una minaccia contro il matrimonio. Ma vorrei chiedere: cosa direbbe a una persona che ha sofferto per anni con la sua sessualità e sente veramente che c’è un problema biologico, che il suo aspetto fisico non corrisponde a quello che lui o lei considera la propria identità sessuale? Lei come pastore e ministro, come accompagnerebbe queste persone?
R. – Prima di tutto, io ho accompagnato nella mia vita di sacerdote, di vescovo – anche di papa – ho accompagnato persone con tendenza e con pratiche omosessuali. Le ho accompagnate, le ho avvicinate al Signore, alcuni non possono, ma le ho accompagnate e mai ho abbandonato qualcuno. Questo è ciò che va fatto. Le persone si devono accompagnare come le accompagna Gesù. Quando una persona che ha questa condizione arriva davanti a Gesù, Gesù non gli dirà sicuramente: “Vattene via perché sei omosessuale!”, no. Quello che io ho detto riguarda quella cattiveria che oggi si fa con l’indottrinamento della teoria del « gender ».
Mi raccontava un papà francese che a tavola parlavano con i figli – cattolico lui, cattolica la moglie, i figli cattolici, all’acqua di rose, ma cattolici – e ha domandato al ragazzo di dieci anni: “E tu che cosa voi fare quando diventi grande?”. “La ragazza”. E il papà si è accorto che nei libri di scuola si insegnava la teoria del « gender ». E questo è contro le cose naturali. Una cosa è che una persona abbia questa tendenza, questa opzione, e c’è anche chi cambia il sesso. E un’altra cosa è fare l’insegnamento nelle scuole su questa linea, per cambiare la mentalità. Queste io le chiamo “colonizzazioni ideologiche”.
L’anno scorso ho ricevuto una lettera di uno spagnolo che mi raccontava la sua storia da bambino e da ragazzo. Era una bambina, una ragazza, e ha sofferto tanto, perché si sentiva ragazzo ma era fisicamente una ragazza. L’ha raccontato alla mamma, quando era già ventenne, 22 anni, e le ha detto che avrebbe voluto fare l’intervento chirurgico e tutte queste cose. E la mamma gli ha chiesto di non farlo finché lei era viva. Era anziana, ed è morta presto. Ha fatto l’intervento. È un impiegato di un ministero di una città della Spagna. È andato dal vescovo. Il vescovo lo ha accompagnato tanto, un bravo vescovo: “perdeva” tempo per accompagnare quest’uomo. Poi si è sposato. Ha cambiato la sua identità civile, si è sposato e mi ha scritto la lettera che per lui sarebbe stata una consolazione venire con la sua sposa: lui, che era lei, ma è lui. E li ho ricevuti. Erano contenti.
E nel quartiere dove lui abitava c’era un vecchio sacerdote, ottantenne, il vecchio parroco, che aveva lasciato la parrocchia e aiutava le suore, lì, nella parrocchia… E c’era il nuovo [parroco]. Quando il nuovo lo vedeva, lo sgridava dal marciapiede: “Andrai all’inferno!”. Quando trovava il vecchio, questo gli diceva: “Da quanto non ti confessi? Vieni, vieni, andiamo che ti confesso e così potrai fare la comunione”. Hai capito? La vita è la vita, e le cose si devono prendere come vengono. Il peccato è il peccato. Le tendenze o gli squilibri ormonali danno tanti problemi e dobbiamo essere attenti a non dire: “È tutto lo stesso, facciamo festa”. No, questo no. Ma ogni caso accoglierlo, accompagnarlo, studiarlo, discernere e integrarlo. Questo è quello che farebbe Gesù oggi. Per favore, non dite: “Il papa santificherà i trans!”. Per favore! Perché io vedo già i titoli dei giornali… No, no. C’è qualche dubbio su quello che ho detto? Voglio essere chiaro. È un problema di morale. È un problema. È un problema umano. E si deve risolvere come si può, sempre con la misericordia di Dio, con la verità, come abbiamo detto nel caso del matrimonio, leggendo tutta l’ »Amoris laetitia », ma sempre così, sempre con il cuore aperto.E non dimenticatevi quel capitello di Vézelay: è molto bello, molto bello.
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03 ottobre 2016
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30 set
Chi caccia via i gesuiti dalla Radio Vaticana? Il primo papa gesuita della storia
Viganò
Nella conferenza stampa di lancio del conclave in cui i gesuiti eleggeranno il loro nuovo « papa nero », padre Federico Lombardi ha subito assegnato un compito urgente al futuro generale della Compagnia di Gesù.
Lasciamo a lui dire quale compito, come riferito da Gianni Cardinale su « Avvenire » del 28 settembre e come invece taciuto da « L’Osservatore Romano » dello stesso giorno:
«Rispondendo alle domande dei cronisti padre Lombardi ha detto di ritenere che il nuovo generale parlerà col pontefice della Radio Vaticana, « affidata 85 anni fa dal papa ai gesuiti perché la conducessero ». « Come sappiamo – ha proseguito – con la riforma la Radio Vaticana come istituzione scompare nella sua individualità, la situazione è profondamente cambiata, e ci aspettiamo che il nuovo generale parlerà con il papa per sapere se vuole dire qualcosa alla Compagnia su questo tema, o se la missione è terminata »».
In effetti, il futuro della Radio Vaticana è oggi così incerto che nemmeno padre Lombardi, che ne è stato l’ultimo direttore generale dal 2005 fino al febbraio di quest’anno, ha la minima idea di quale sarà.
Di sicuro c’è che non sarà più come prima. Come direttore generale, infatti, padre Lombardi non ha avuto un successore. Perché entro il prossimo dicembre 2016 la Radio Vaticana sarà accorpata nella neonata segreteria per la comunicazione, che ha come prefetto monsignor Dario Edoardo Viganò (vedi foto), l’uomo immagine di papa Francesco.
E alla fine, quando il processo di accorpamento sarà ultimato, oltre alla radio anche gli altri media vaticani faranno parte di un unico « content hub » centralizzato, cioè, per dirla con Viganò, di « un unico centro di produzione multimediale di testi, immagini, audiovisivi e podcast radiofonici in multilingua », sottoposto a un’unica « direzione editoriale » già oggi detenuta dallo stesso Viganò e prossima a dotarsi di una sua « task force di giornalisti che sappia individuare ‘issues’ esterni e interni per immetterli nel flusso delle notizie ».
A chi conosce Viganò e ha fatto il possibile per sconsigliare papa Francesco – invano – dall’affidare a lui la ristrutturazione dei media vaticani, vengono i brividi all’idea che l’intero sistema comunicativo della Chiesa di Roma finisca sotto il suo comando.
Ma tornando alla Radio Vaticana e alla sua « missione » pluridecennale affidata dai papi alla Compagnia di Gesù, è paradossale che a decretarne il decesso e a sottrarla ai gesuiti sia oggi proprio il primo papa gesuita della storia.
Riuscirà il prossimo generale della Compagnia a rianimarla « in articulo mortis », bussando alla porta del pontefice confratello?
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